Il seguente brano è tratto dal libro “Il girone delle polveri sottili” di Stefano Montanari , editore Macro Edizioni… un libro agghiacciante …abbiate la pazienza di leggere e poi di decidere…
Capitolo 14
Malgrado tutto, la ricerca andava avanti e i risultati arrivavano, regolarmente a conferma di quanto era apparso evidente sin dal caso del ’97 del paziente con la protesi dentaria malfatta. Come gia accennato qualche pagina fa, quello era il periodo in cui cominciava ad essere difficile mantenere coperto il disastro postumo delle guerre combattute nel Golfo persico e nella ex- Iugoslavia. Chi ritornava stava male e la notizia di bambini malformati figli dei reduci si facevano sempre più insistenti.
L’osservatorio militare chiese ai suoi associati ammalati di darci qualche campione dei loro tessuti patologici- e si trattava in ogni caso di cancri- appartenenti a soldati italiani, e in quei tessuti ci si trovava sempre della polvere inorganica finissima, una polvere che non c’era dove non c’era tessuto malato.
Negli Stati Uniti, intanto, erano nate associazioni di cittadini in difesa dei diritti dei militari malati e , sulla scorta di quanto comunicava un certo dottor Asaf Durakovic secondo le cui indagini l’urina dei militari ammalati conteneva uranio, ecco che l’uranio diventava automaticamente, nella fantasia di molti, l’induttore di tutta una serie di patologie di cui i soldati soffrivano. …
Nel frattempo, in diversi paesi, tra cui l’Italia, i governi avevano allestito commissioni di esperti o presunti tali per studiare il fenomeno, ma di studi seri o, per lo meno sereni, nemmeno l’ombra.
Da noi non era nemmeno chiaro quanti soldati fossero stati effettivamente impiegati sul fronte balcanico, visto che chi aveva fatto, ad esempio, tre andate e ritorno poteva venire considerato come se si trattasse di tre persone invece che di una sola. Va da sé che un errore simile genera a sua volta un errore grave di epidemiologia: se il soldato che ha fatto tre viaggi si ammala, non risulta più che una persona dispiegata equivale ad un malato, ma che su tre persone se n’è ammalata una sola.
Furono commessi inoltre altri errori come la scelta sbagliata della popolazione con cui confrontare quella degli ammalati, e come il non tenere in considerazione un caposaldo della patologia di origine ambientale, cioè che gli effetti sono spesso ritardati e indiretti, e cosi si giunse alla conclusione paradossale secondo cui non solo chi andava in guerra non si ammalava più della popolazione normale ma, se si voleva star sani, andare a combattere era quel che ci voleva. E questa conclusione non si tirò solo in Italia con la cosiddetta “commissione Mandelli ”, dal nome dell’ematologo che ne era l’anima, ma pure in Francia con la “commissione Salamon” .
A noi però, questo interessava poco. Ciò che ci chiedevamo tra le tante domande che ci ponevamo era perché noi non trovassimo uranio in nessuno di questi pazienti, cosi come non lo avevamo trovato nel reperto proveniente da Modena. E, allo stesso modo, perché non trovavamo nemmeno tracce di radioattività.
A questo punto occorrono alcune spiegazioni.
L’uranio è un metallo piuttosto diffuso nella crosta terrestre: è più o meno quaranta volte più comune dell’argento. Mai, però, lo si trova libero: di solito è come ossido o sale complesso, in minerali come la pechblenda e la carnotite, e lo si trova sotto forma di tre isotopi: l’238U, l’235U e l’234U, dove il numeretto a sinistra del simbolo dell’elemento (in questo caso U per uranio) indica il numero di massa, cioè quanti neutroni addizionati ai protoni possiede quel particolare isotopo. L’238U rappresenta il 99,275% di tutto l’uranio esistente, l’235U lo 0.72% e l’234U il pochissimo che resta. La radioattività dei tre isotopi è relativamente bassa, con in coda il 235, quello che ha tre neutroni in meno del 238 e che, come vedremmo subito, è il più “interessante” dei tre.
Il motivo del suo interesse sta nell’essere fissile, vale a dire nella sua proprietà di poter essere spaccato e produrre, nel corso di questa rottura, energia, la proprietà che venne sfruttata per la famosa bomba di Hiroshima. E allora, ciò che si fa normalmente per estrarre energia dall’uranio – ma questo limitatamente agli usi civili- è arricchire la miscela naturale dei tre isotopi di uranio con il 235, e questo impiegando metodi diversi la cui descrizione è facilmente reperibile nei testi specializzati. In pratica, ciò che si deve fare è portare il contenuto dell’isotopo 235 dallo 0.72% a percentuali tra poco più del 3% fino all’incirca 5 %(per fare la bomba atomica si arriva intorno al 90%). A fare le spese dell’operazione di arricchimento è un uranio che resta privato di gran parte (ma non del tutto) dell’isotopo 235 e che è, per questo, chiamato uranio impoverito, un metallo, a questo punto, senza più valore commerciale. E non solo non ha alcun valore, ma diventa piuttosto imbarazzante perché non si sa dove metterlo stante, comunque la sua radioattività residua.
Tonnellate di questo materiale ormai nulla più che una scoria vengono illegalmente aggiunte al ferro, cosi adulterandolo di fatti irreversibilmente, approfittando della sua enorme densità (circa il 65% maggiore di quella del piombo, tanto che un decimetro cubo pesa oltre 19 kg) l’uranio impoverito può trovare impiego per fare contrappesi per aerei o per barche da regata o per ascensori oppure per costruire schermi per i raggi X o per fare penetratori usati negli scavi petroliferi. Questo, però, non basta per disfarsene.
Ma, l’uranio, impoverito o no, ha due proprietà che lo rendono interessante per scopi bellici: la sua alta capacità di penetrare materiali durissimi e la sua piroforicità, cioè la sua capacità di accendersi spontaneamente per attrito, a contatto con l’aria e a temperatura ambiente se ridotto in polvere. E allora, ecco trovato un eccellente sistema per liberarsi di un po’ di questo eccesso d’inutile metallo: farne della bombe. Bastano pochissimi chilogrammi di uranio, dunque un volume piccolo, in testa a un grande proiettile per aprire un buco notevole in corazze di carri armati (a volte fatte pure loro con uranio) o in edifici, e a far vaporizzare tonnellate del materiale costituente il bersaglio, stante la temperatura superiore ai 3000° C che l’urto induce.
Tutte queste sostanze vaporizzate vengono scagliate a grande distanza dal luogo dell’esplosione e ricondensano in tempi brevi sotto forma di polveri finissime per effetto della temperatura dell’atmosfera che è, naturalmente, molto più bassa.
Dal punto di vista della composizione chimica, le polveri che si sono formate in quel modo contengono gli elementi presenti nella bomba e nel bersaglio, con intuibile prevalenza proporzionale di ciò che costituiva il bersaglio, trattandosi di chilogrammi di materiale densissimo contro tonnellate di materiali assai meno densi.
Ma come si comportano le polveri? Più o meno alla stregua dei gas, stante la loro dimensione veramente piccolissima, spesso ben sotto il millesimo di millimetro (micron) di diametro e, come i gas, si diffondono in atmosfera e sono trasportate dal vento.
Difficile dire dove finiranno. Basta pensare ai pollini, incomparabilmente più grossi di quelle polveri, eppure capaci di viaggiare per decine di migliaia di chilometri, cosi come le sabbie del deserto, i granelli di sabbia del Sahara per esempio, che, pur avendo un diametro decine o centinaia di volte superiore a quello della polveri di cui parliamo, si trovano nelle piogge rosse in Europa e perfino sulle coste orientali americane dopo aver scavalcato l’Oceano Atlantico.
Comunque, una parte di quelle particelle ricade al suolo e, cadendo, interessa frutta, verdura ed erba che è cibo per gli animali. Dunque, nessuna sorpresa che quelle polveri siano inalate e mangiate, con tutte le conseguenze che abbiamo esaminato qualche pagina addietro. E nessuna sorpresa se l’uranio non s’individua nei tessuti dei soldati ma in quei tessuti si trova altro: come illustrato, pochissimi chilogrammi di quel metallo servono a far volatilizzare tonnellate di materiale di cui l’uranio rappresenta una frazione piccolissima e, per questo, è estremamente improbabile trovarlo stante la diluizione.
[…]
Perché allora, Durokovic trova uranio nella urine dei soldati? Probabilmente perché questo non è in forma di particelle ma di ione e viene eliminato per via renale. E, se viene eliminato, è un ottima notizia.
Il meccanismo di formazione della polveri di cui ho detto sopra è descritto piuttosto accuratamente in un documento che io trovai per caso navigando in internet. Si tratta di un rapporto risultato della ricerca condotta dal Laboratorio degli armamenti dell’Aeronautica Militare degli Stati Uniti, Sviluppo degli Armamenti e Centro Prove, Base Aerea di Eglin, Florida, relativo ad esperimenti svolti tra l’ottobre 1977 e l’ottobre 1978 sotto il Progetto d’Esplorazione di Sviluppo dell’Aeronautica Militare. Il documento, rivisto e approvato dal Capo ufficio ambiente Joe A. Farmer, riporta che lo si sarebbe dovuto rendere pubblico cosa che, in effetti, non avvenne. Solo molti anni più tardi fini chissà come, e per poco tempo, nella caterva di materiale che si trova in rete.
Ciò che vi si descrive è la sperimentazione eseguita su proiettili contenenti uranio impoverito impiegati allo scopo di perforare la corazze. Dunque, l’effetto desiderato era quello di bucare e non incendiare.
L’oggetto della ricerca era quello di studiare i frammenti che si formavano a seguito dell’impatto de proiettile con il bersagli e, per questo, si usò una strumentazione del tutto simile a quella che impieghiamo noi salvo, naturalmente, il fatto di una maggiore raffinatezza dell’apparecchiatura odierna.
Ciò che risultò fu la formazione di polveri di varie dimensioni, molte delle quali ultrafini, vale a dire parecchio inferiori al micron, la cui forma prevalente era quella di sfere cave con una parete sottile e fragile che, a loro volta, stante questa fragilità che si manifestava sotto l’azione degli agenti atmosferici, si frammentavano in cocci ovviamente più minuti dell’oggetto da cui originavano.
Quanto alla composizione, si trattava di leghe costituite dagli elementi che entravano in gioco nell’esplosione: dunque bomba, bersaglio e terreno e, di conseguenza, una composizione ben poco prevedibile.
Nella parte finale, il rapporto sottolinea come le polveri ultrafini, sia originali sia formatesi per frammentazione delle particelle più grosse, entrino come dimensione nella gamma di quanto è respirabile, cioè di quanto entra con la respirazione nella porzione più profonda tecnicamente quella non cigliata, delle vie respiratorie: un dato critico di estrema importanza. E si fa notare pure come queste polveri possano ragionevolmente essere considerate nocive alla salute.
Dunque, stante all’incontestabilità storica del documento, tutto questo è noto in ambiente militare fin dal 1978.
Il vero amore è scioccante
1 mese fa
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